BARBARA SPINELLI: LO SCONTRO SULLE VIGNETTE, ASSEDIO ALL’ISLAM EUROPEO

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INES TABUSSO
00lunedì 13 febbraio 2006 00:40
LA STAMPA
12 febbraio 2006
LO SCONTRO SULLE VIGNETTE
ASSEDIO ALL’ISLAM EUROPEO
Barbara Spinelli

VISTO che ormai comincia a farsi strada la verità sulla guerra delle caricature, conviene domandarsi perché s’è acceso un sì grande incendio, e quel che gli incendiari si propongono. Dodici vignette pubblicate mesi fa in Danimarca hanno offeso un certo numero di associazioni musulmane danesi, per motivi comprensibili e umani. Queste associazioni hanno avuto l’impressione, vedendo raffigurato il profeta con una bomba sul capo al posto del turbante, che la loro religione fosse considerata terrorista. Si sono rivolti dunque alla giustizia, e hanno intentato una causa per diffamazione e blasfemia. Ma col passare dei mesi l’affare è passato dalle loro mani a quelle di chi l’Islam lo usa a fini ideologici e geo-politici, e sono costoro che oggi parlano per tutti. L’integralismo non aveva alcun interesse a imboccare le vie legali offerte dalla democrazia alle minoranze, e si è dunque rivolto agli estremisti arabi perché reagissero con fatwe di morte, boicottaggi commerciali, incendi di ambasciate, intimidazioni. Quest’estremismo è minoritario nell'Islam ma parla a voce talmente alta da sembrare fortissimo e rappresentativo. Il suo esponente in Danimarca è l’imam Abu Laban, noto in Europa e Italia per le opinioni favorevoli al terrorismo. Abu Laban si è dato da fare per creare due immagini utili all’islamismo radicale: l’immagine di una guerra di civiltà con la democrazia, e l’immagine di 1,2 miliardi di musulmani identificati con l'integralismo. E’ ovvio che alcuni Stati o gruppi sono oggi particolarmente interessati a questa raffigurazione (Siria, Iran di Ahmadinejad, Hezbollah in Libano, Hamas in Palestina): non perché si sentono forti, ma perché abbisognano di diversivi. L’immagine è tuttavia totalmente falsa. La minoranza violenta non è rappresentativa dell’Islam, e soprattutto non dell’Islam in Europa. Le associazioni musulmane in Germania lo hanno detto: «La libertà d'espressione è intangibile in Europa», «La reazione alle vignette aggredisce soprattutto noi». Il più chiaro è stato Amir Taheri, scrittore-riformatore iraniano vivente in Europa: «Che il mondo islamico non sia abituato a ridere della religione è vero, ma solo se lo limitiamo a Fratelli Musulmani, salafiti, Hamas, Jihad islamico, Al Qaeda. Tutte queste, però, sono organizzazioni politiche mascherate da movimenti religiosi, non rappresentano l’Islam, così come il partito nazista non era l'unica espressione della cultura tedesca». (Wall Street Journal, 8 febbraio).
Questa minoranza ha dunque come vero bersaglio l’Islam émigré. Vuol mettere a tacere ogni sua critica, ogni desiderio di riformare il rapporto con i testi sacri, con la legge coranica (sharia), con la politica. E’ ostile alle libertà dell’individuo, perché l’individuo spezza l’appartenenza comunitarista e religiosa. Sa che in Europa l’Islam è influenzato da quel che fonda l'identità europea: la separazione fra politica e religione, la preminenza dell’individuo-cittadino sulle comunità d’appartenenza. La maggior parte degli europei in queste settimane ha reagito in maniera laica, molto più dell’America che alla laicità è meno sensibile. Non è un caso che Bush sia molto critico delle vignette. Entrando in guerra contro l’Iraq, egli ha esacerbato il terrorismo integralista, voluto lo scontro di civiltà, e scelto il radicalismo come solo interlocutore.
La riforma laica cui tanti musulmani aspirano: questo è il nemico degli zeloti islamici. E’ tale nemico che va intimidito, e i riformatori ne sono coscienti. Tra loro Magdi Allam, di origine egiziana, vicedirettore del Corriere. Un suo recente articolo ricorda come l’iconoclastia (divieto delle immagini) non sia iscritta nel Corano ma solo nei detti (hadith) del profeta. In un altro articolo enumera le voci critiche e i siti alternativi (tra cui Middle East Transparent e www.kikah.com, cui aggiungiamo muslim-refusenik.com e www.qantara.de). Un altro esempio è Samir Kassir, il giornalista libanese assassinato nel 2005: la più grande infelicità araba, egli dice, è nel rifiuto di venirne fuori (L'infelicità araba, Einaudi). Secondo Raja Ben Salama, letterato tunisino, l'Islam violento è un Islam morente, che reagisce con bombe a una mosca.
Questi riformatori sono raramente ascoltati. L’Occidente preferisce negoziare con le avanguardie estreme, e questo lo rende cieco alle diversità-metamorfosi dell'Islam. Faticano specialmente le sinistre, perché il loro multiculturalismo dà più spazio ai collettivi che alla persona. L'Islam riformatore respinge la versione bellica del gihàd (gihàd è anche «sforzo per frenare le proprie tendenza malvagie»). Rispetta il Corano ma vuole resuscitare il Ijtihàd, che è la meditazione personale e razionale sulle Scritture, praticata agli inizi. «Verso la fine dell'XI secolo», scrive l'ugandese Irshad Manji, «le porte del Ijtihàd si sono chiuse e il pensiero indipendente s'è spento». E’ ora che venga riacceso, e i riformatori sostengono che l'Islam europeo inizierà tale Rinascimento. Rinascimento vuol dire anche domandarsi se vignette simili sarebbero apparse, se non esistesse quel che è stato fatto in nome di Mohammad: l’11 settembre, le decapitazioni esibite in tv, i kamikaze. Per aver avanzato questo dubbio il giornalista giordano Momani è stato incarcerato. Nel settimanale Shihane si era chiesto: «Cos’è più dannoso per l’Islam: queste caricature, o le immagini di sequestratori che sgozzano gli ostaggi davanti alle telecamere?».
Tutte queste cose gli estremisti le sanno, le temono. Tanto più importante è che l’atteggiamento cambi in Europa. Che i riformatori musulmani divengano protagonisti dei dibattiti cittadini che dovremo pur sempre avviare, con 15 milioni di islamici europei. Che il dibattito non venga delegato al dialogo inter-religioso, perché raramente le Chiese risolvono le dispute tra monoteismi e tutte, oggi, sono interessate a contare di più in politica. La laicità è la risposta alle dispute, e in questi giorni l'Europa scopre che è forse qui la sua identità. Un’identità che ha radici cristiane, ma che non saranno i cristiani da soli a poter governare.

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