CHI PROTEGGE IL CAIMANO? PERSONE PERBENE PARLANO

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
INES TABUSSO
00mercoledì 29 marzo 2006 21:59

LIBERO
29 marzo 2006
Retromarcia ds: il premier può tenersi le tv
« Berlusconi potrà restare presidente di Mediaset purché venga completamente separata la gestione dell'azienda » . Così ha detto ieri il leader dei Ds, Piero Fassino, nel corso della trasmissione " Porta a porta". Fassino ha perfino riconosciuto che il centrosinistra sbagliò a non approvare una legge su questa materia nella precedente legislatura, ma annuncia, come peraltro aveva già fatto qualche giorno fa, che in caso di vittoria dell'Unione « questa legge verrà fatta » . continua...

newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArtic...



*****************************************************************



IL FOGLIO
29 marzo 2006
Persone perbene parlano
Leader d’opinione non berlusconiani dicono di no a una legge-vendetta

Kostoris, Panebianco, Mancina, Rumi, Galli della Loggia: no al decreto anti Cav. L’imbarazzo di Rusconi e Ricolfi

Roma. “Il conflitto d’interessi esiste ed è difficile individuare norme giuste per regolarlo”. Ma “a un’anomalia storica non si può rispondere con un’anomalia giuridica”. Questo è il cuore dell’appello rivolto ieri dal Foglio a Romano Prodi – hanno aderito anche il costituzionalista Beniamino Caravita di Toritto e il politologo Massimo Teodori – su ciò che può accadere a Silvio Berlusconi qualora dovesse diventare oggetto speciale d’una legge ulivista sul conflitto d’interessi. La questione è se il Cav. possa ancora esistere come politico senza subire la privazione della sua essenza d’imprenditore privato.
Fiorella Kostoris Padoa Schioppa, economista ed editorialista del Sole 24 Ore, pensa che “durante questa legislatura siano state fatte leggi a beneficio di certe persone”, cioè di Berlusconi, ma crede pure che “sarebbe un errore eguale e contrario se l’Unione facesse altre leggi contro di lui. E’ assurdo pensare che Romano Prodi possa prendere provvedimenti ad personam e non credo che voglia farlo”. D’Alema qualche pensiero un po’ aggressivo deve averlo fatto, viste le recenti dichiarazioni. Forse c’è il rischio che una regolazione delle anomalie diventi occasione per regolare certi conti in via definitiva. “Sarebbe un ritorno al medioevo, in uno stato di diritto esistono fattispecie da sistemare, non conti personali da regolare. Esistono istituzioni deputate a evitare conflitti d’interesse. I paesi che da questo punto di vista sono meglio regolati, come il Regno Unito, sono quelli nei quali l’opinione pubblica è consapevole del problema e ha introiettato tutto nelle proprie abitudini. Ecco perché l’Economist e il Financial Times non capiscono il motivo per il quale la popolazione italiana ha votato un politico che possiede tre reti televisive. In Italia c’è un’altra cultura, la stessa cultura per la quale il centrosinistra non ha legiferato sul conflitto d’interessi quando poteva farlo”. In coerenza con le parole della professoressa Kostoris, si dovrebbe immaginare un “paese migliore” in cui il Cav. risolva il conflitto con un’autocertificazione suscettibile di controllo, verifica ed eventuali punizioni. “L’autoregolamentazione è perfetta, una formula adatta per liberarsi di pesi e sospetti. Ma il metodo non fa parte della cultura italiana”.
Luca Ricolfi, sociologo all’Università di Torino ed editorialista della Stampa, confessa il proprio “imbarazzo, viste le giuste esigenze sia di chi dice: non potete buttar via Berlusconi dalla politica per legge; sia di chi afferma che la sua posizione non si possa non regolare per ripristinare un ordine in cui tutti siano ad armi pari”. Dagli studi che Ricolfi ha intrapreso in questi ultimi anni emerge questo: “Dal 1994 a oggi risulta che purtroppo la televisione influisce sul comportamento degli elettori. E che questa influenza è particolarmente forte da parte di Mediaset, in campagna elettorale, mentre è minore nei periodi freddi, nei quali è più influente la Rai. Di qui un problema superabile soltanto se in Italia tutte le violazioni nel pluralismo dell’informazione ricevessero adeguata sanzione. Il che avverrebbe se le Authority svolgessero il proprio compito senza dipendere dal potere politico o da quello economico. Invece da parte loro c’è già poca attenzione in condizioni di normalità, e durante la campagna elettorale le sanzioni emesse sono irrisorie”. Se ci trovassimo in un sistema che funziona bene “a nessuno verrebe in mente di dire che dobbiamo sbattere fuori Berlusconi”. In questo senso, conclude Ricolfi, “l’appello del Foglio dimostra che le Authority italiane non funzionano”. In un sistema regolato come dice Ricolfi non ci sarebbe spazio per Daniele Luttazzi che alla vigilia delle elezioni del 2001 maramaldeggiava contro il Cav., né il successivo editto d’interdizione emesso dal Cav. a Sofia una volta tornato al governo. “L’ho scritto, l’errore del centrosinistra nel ’96 fu di pensare che fosse giusto contrastare le tre corazzate Mediaset controllando le tre corazzate televisive pubbliche”.
Angelo Panebianco, editorialista del Corriere della Sera e politologo, dice che “non è possibile tagliare adesso il nodo gordiano come vorrebbe fare D’Alema, dodici anni dopo l’ingresso in politica di Berlusconi. Sarebbe un’operazione punitiva da parte dei possibili vincitori nei confronti del più pericoloso fra gli sconfitti, quello che ha battuto il centrosinistra nel ’94 e nel 2001. Posta in quei termini, la soluzione dalemiana appare come un vulnus pesante. Detto questo – prosegue Panebianco – bisogna aggiungere che il problema c’è. E non è nel conflitto d’interessi. Sta nel fatto che il Berlusconi-premier non ha mosso un dito per far saltare ciò che rende davvero anomala la sua posizione.
Per Panebianco “ciò che rende anomala la posizione di Berlusconi è il duopolio televisivo. Questo è il punto. Io sono favorevole all’impegno in politica degli imprenditori, non vedo perché la politica debba essere in mano a funzionari pubblici, politici di professione e professori universitari e avvocati. Ma non anche agli imprenditori, che tra l’altro portano con sé una cultura di mercato. Nel caso di Berlusconi c’è un problema delicato, bisogna contare attivi e passivi. Di positivo c’è che è il fondatore di uno dei Poli su cui si fonda oggi il sistema democratico italiano, e del partito maggioritario nel paese. Questo non può essere distrutto per legge. Di negativo c’è che ha avuto la possibilità di aprire il mercato alla concorrenza e non lo ha fatto. L’unico modo per risolvere la questione è privatizzare una o due reti Rai e fare in modo che Berlusconi possa far gestire alla famiglia la proprietà Mediaset”.
Giorgio Rumi, storico ed ex consigliere d’amministrazione della Rai, è “esterrefatto” e non capisce “quale possa essere il senso di agitare ora, in piena campagna elettorale, l’ipotesi di una legge ad personam che impedisca di far politica a quello che si ritiene dovrebbe essere il futuro capo dell’opposizione. Non vorrei che fosse la risposta (sbagliatissima, inaccettabile) all’invito morettiano a dire ‘qualcosa di sinistra’. Non sono un tifoso di Berlusconi e non mi piacciono molte delle cose che ha fatto al governo e alla Rai. Ma quello che si prefigura non è il rimedio al conflitto d’interessi. Assomiglia a una vendetta, al tentativo di delegittimare il voto di tutti coloro che sceglieranno Berlusconi. Io, al contrario, sono convinto che la figura del capo dell’opposizione dovrebbe avere le garanzie che ha in Gran Bretagna: esattamente il contrario della condanna all’esclusione”.
Ernesto Galli della Loggia, storico ed editorialista del Corriere della Sera, pensa che “non sia possibile che la coalizione vincente alle elezioni concepisca una legge per impedire ai perdenti di fare politica. La sbrigativa affermazione di Massimo D’Alema contraddice la grammatica elementare della condivisione delle istituzioni democratiche, oltre a presentare un problema di costituzionalità. Detto questo, il conflitto d’interessi di Berlusconi è serio. E’ vero, l’anomalia berlusconiana nasce dall’incancellabile, devastante e precedente anomalia dovuta all’intervento di un potere, la magistratura, che ha ottenuto l’abdicazione del potere politico. Ma dopo la ricostruzione storica abbiamo bisogno delle soluzioni politiche. Bisogna capire come superarlo, il conflitto d’interessi, visto che Berlusconi non lo ha fatto. Ma proporre semplicemente di cancellare lui come politico e leader dell’opposizione è impensabile: su pochi argomenti, come su questo, è necessario un accordo tra maggioranza e opposizione”.
Secondo Claudia Mancina, ex parlamentare dei Ds ed editorialista del Riformista, “un argomento così spinoso non può essere liquidato attribuendo tutto il torto a una parte e tutta la ragione all’altra. Se l’affermazione di D’Alema, contenuta peraltro nel programma dell’Unione, suona come una promessa di vendetta, dall’altra parte l’anomalia del conflitto d’interessi berlusconiano non è mai stata riconosciuta come tale. Ma l’idea di una nuova legge mi lascia perplessa. Quell’anomalia dipende da uno sviluppo distorto e dalla debolezza della democrazia italiana, non si risolve ‘eliminando’ Berlusconi. Qualcuno, cioè, che, dopo la prossima, sarà stato legittimato da quattro tornate elettorali attraverso il voto della metà degli italiani. Lui non ha esitato ad andare avanti a colpi di maggioranza, ma noi non dobbiamo percorrere la stessa strada. Invece di una legge sul conflitto d’interessi che dovrebbe essere fatta con l’accordo dell’opposizione e che difficilmente sfuggirebbe al sospetto di essere ‘su misura’, penso sia più importante riformare la legge elettorale, se vogliamo uscire dal deficit democratico”.
Gian Enrico Rusconi, professore di Scienze politiche e columnist della Stampa: “Siamo estenuati da una comunicazione politica talmente alterata da Berlusconi che perfino l’idea di fare un documento ragionato come quello del Foglio perde di senso. Con quello che sta facendo, come si fa a difendere le buone ragioni del premier, ammesso che ne abbia? Il conflitto d’interessi è un tema dirompente, spero che l’abbiate sollevato diabolicamente, in perfetta malafede, per mettere in difficoltà gli avversari”.



*****************************************************************



IL FOGLIO
29 marzo 2006
Se il Cav. perdesse, potrebbe riprovarci?
Perché Bush apre agli immigrati, anche andando contro il suo partito
Fassino e altri rispondono ma non convincono. Però in serata il capo Ds...

Nella risposta alla domandina semplice
semplice formulata nel titolo,
che è stata proposta sabato scorso su
queste colonne e rilanciata autorevolmente
dall’appello del Foglio con Piero
Ostellino e Sergio Ricossa, il centrosinistra
mena un po’ il torrone ma comincia
a porsi il problema in pubblico, il che è
un progresso rispetto all’ipotesi infausta
di una vendetta privata, non discussa davanti
agli elettori. Bertinotti è evasivo,
dice che la priorità sarà la lotta alla disoccupazione
e al precariato, poi verranno
“questioni di ordinamento democratico”
(il lessico è un tantino vecchiotto,
variante Germania orientale prima
del muro, ma fa niente). Il prodiano
Franco Monaco osserva
gentilmente che
l’appello del Foglio
non lo convince,
perché non è vero
che il conflitto di interessi
dispiegato in
questi anni non abbia
messo in discussione
“la natura
liberal-democratica”
del
nostro sistema,
come noi affermiamo. Opinione rispettabilissima
ancorché non argomentata.
Noi abbiamo registrato un fatto: con
Berlusconi è arrivata una piena alternanza
al governo, se vincesse Prodi l’alternanza
sarebbe riconfermata. Qual è il
fatto argomentato da Monaco? Poi aggiunge:
né vendette né sconti. E qui siamo
sul pericolosamente generico e sull’elusivo.
Il segretario dei Ds, Piero Fassino,
invece è più preciso: facciamo come
in America. Il problema è che in
America, caro Fassino, non c’è alcuna
legge sul conflitto di interessi, c’è un codice
deontologico che riguarda i membri
del Congresso e dell’esecutivo e altre
figure sia dell’ordinamento pubblico sia
del sistema privato. Un codice rigoroso
del dover essere, non un interdetto, che
stabilisce sul modello del blind trust alcune
opportunità, rese necessarie da
una lunga consuetudine. Il sindaco di
New York che presiede ai destini di una
città grande come un paese europeo medio,
e che ha una strada chiamata Wall
Street, per esempio, non ha dovuto dismettere
il suo patrimonio, consistente
in un sistema di televisioni che hanno
per oggetto la comunicazione e l’informazione
finanziaria. Quando era un barone
televisivo, Ted Turner annunciò
che avrebbe concorso alla presidenza
degli Stati Uniti, cosa che poi non fece,
senza sollevare scandalo. L’editore Forbes
ha fatto la sua corsa vana, ma l’ha
fatta. Ammettiamo volentieri che l’opinione
media americana, soprattutto di
parte liberal, considera anomalo il fenomeno
Berlusconi
dal punto di vista
del conflitto di
interessi. Anche
noi lo consideriamo
anomalo, sebbene
con l’anomalia
l’Italia democratica
conviva, senza
ammalarsene e
senza morirne,
ma anzi guarendo
dalla sindrome
di regime ed entrando nell’epoca
dell’alternanza, dal 1994 (non poche settimane).
E’ probabile che l’idea di una
legge, un Bill o un Act, che imponga a un
imprenditore che prende un quarto dei
voti di dismettere le sue industrie se voglia
continuare a fare politica sarebbe
considerata, essa sì, un po’ tanto scandalosa.
Revenge, direbbero gli americani
di fronte alla prospettiva di un candidato
che, se perda, viene estromesso dalla
scena per legge da chi ha vinto.
Post scriptum. Le agenzie hanno battuto
nella serata di ieri una ulteriore
precisazione di Fassino, da Vespa. Alla
precisa domanda: potrà fare politica
Berlusconi, e continuare a possedere
Mediaset?, la risposta è stata: “Certo che
può restare proprietario di Mediaset,
purché separi completamente la gestione”.
Ottimo.



*****************************************************************




Roma. Incompatibile anche come parlamentare.
E’ quanto pensano di Silvio Berlusconi
i prodiani di stretta osservanza riuniti
nella fondazione Governareper diretta da
Arturo Parisi, braccio destro del candidato
premier dell’Unione. L’idea si desume dalla
relazione conclusiva della commissione
“Giustizia, diritti e mercati” che ha partecipato
all’elaborazione del programma del
centrosinistra. Il gruppo di lavoro, coordinato
dal giurista Gregorio Gitti, editorialista
del Corriere della Sera da quando è diretto
da Paolo Mieli, ha scritto un documento finale
che parte da “una premessa indefettibile:
la disciplina del conflitto di interessi”.
La proposta legislativa auspicata è racchiusa
in queste parole: “Si rende improcrastinabile
un immediato intervento diretto ad
ampliare la sfera delle incompatibilità con
le cariche parlamentari e di governo, quanto
meno con riferimento alla titolarità di
pacchetti di controllo di società destinatarie
di concessioni pubbliche”.
del provvedimento. Dice il leader Alfonso
Pecoraro Scanio: “Sarà Tana De Zulueta la
relatrice del disegno di legge sul conflitto di
interessi nel prossimo Parlamento. Per una
volta i Verdi faranno qualcosa di sinistra”.
I partiti di centrosinistra hanno le idee
chiare anche su come limare in concreto
l’azione del gruppo Mediaset. Sono concordi
nell’abolire la legge Gasparri e unanimi
anche nell’intervenire sul mercato del digitale
terrestre, imponendo al gruppo radiotelevisivo
privato di restringere il campo di
attività. Sulle soluzioni si leggono diverse
proposte. Quella meno dirigista è delineata
in un documento della Margherita: “Le frequenze
rese disponibili siano rimesse sul
mercato per favorire il pluralismo delle iniziative
imprenditoriali”. Invece la Quercia
per rimescolare le carte indica implicitamente
un ruolo dello stato, ma senza specificarlo,
auspicando “l’attribuzione a operatori
terzi di una quota della capacità di trasmissione
digitale terrestre di proprietà
delle aziende oligopoliste”. Più netta la posizione
di Rifondazione comunista, che mira
a un ruolo penetrante del legislatore nel
ridisegnare il settore delle frequenze. Spiega
al Foglio Sergio Bellucci, responsabile
comunicazione del partito guidato da Fausto
Bertinotti: “Nella premessa del programma
dell’Unione si dice che la comunicazione
è un bene comune, inalienabile. Il
corollario di ciò, secondo noi, è che ad
esempio le frequenze, sia analogiche sia digitali,
tornino a essere considerate come
concessioni governative. Quindi non possono
essere commercializzate liberamente,
ma devono tornare allo stato in caso di cessione.
Un principio valido a maggior ragione
nella situazione italiana che vede i principali
network nazionali detenere sia frequenze
analogiche sia digitali in sovrappiù”.
Inoltre, sottolinea Bellucci, Rifondazione
ritiene opportuna la totale separazione
societaria tra chi produce contenuti e
chi detiene la proprietà delle reti.
Sulla scia della fondazione prodiana anche
la Quercia. L’area Istituzioni e pubblica
amministrazione sotto la responsabilità di
Franco Bassanini, ex ministro ds per la Funzione
pubblica, ha stilato un rapporto sulla
“Riforma delle istituzioni”. Una delle misure
per aumentare “le garanzie costituzionali
nella democrazia bipolare” è “l’ineleggibilità
a uffici pubblici e cariche elettive per
coloro che controllano mezzi di comunicazione
di massa”. Ieri il segretario della
Quercia, Piero Fassino, è andato oltre, annunciando
una soluzione per l’attuale presidente
del Consiglio: “Proporremo al Parlamento
una legge non contro Berlusconi ma
per risolvere il conflitto di interessi di
chiunque”. Poi Fassino è entrato nei dettagli,
ritagliando l’idea proprio sul premier:
“Adotteremo una normativa come quelle in
vigore in altri paesi, in particolare quella
degli Stati Uniti mi sembra un buon modello”.
I Verdi hanno già in mente la persona
adatta per svolgere il compito di relatrice



*****************************************************************



Profezie Udc
Non ci sarà esproprio nei
confronti del Cav. e la fine del
duopolio tv conviene anche a lui

Al direttore - Il dibattito aperto da D’Alema
sull’intreccio fra politica e tv del Cav. consente
di sfatare alcuni luoghi comuni. A partire
da quello secondo cui Berlusconi sarebbe
uno straordinario imprenditore e un improvvisato
politico. E che nulla sarebbe se
privato della sua particolare dote di capitalista.
Niente di più falso.
La politica. Sua Emittenza si è rivelato un
leader politico a tutto tondo. Un vero professionista.
Ha dimostrato di conoscere (e saper
usare e violare) le regole della politica. Del
teatrino è divenuto ben presto attore protagonista
e regista. Con la sua discesa in campo
nel ’94 non solo ha vinto ma ha segnato indelebilmente
il futuro del bipolarismo italiano.
Nel ’96 ha perso ma non si è rassegnato e nel
2001 è tornato a Palazzo Chigi. Ha governato
per cinque anni (record per il nostro paese),
resistendo agli assalti degli alleati (di Follini
in particolare) e ai risultati negativi delle elezioni
intermedie (europee e amministrative).
In questa campagna elettorale, ha lottato come
un leone e recuperato molti consensi che
in tanti davano per perduti. Comunque vada
Forza Italia “rischia” di essere il primo partito
in Parlamento e comunque rappresentativo
di circa un quarto della popolazione italiana.
Pensare che l’identità e la soggettività
di Berlusconi sia nel suo essere tycoon della
tv farebbe torto sia alla professionalità politica
del fondatore di Forza Italia che alla
buona fede dei suoi elettori. Sarebbe come
paragonarlo a un caimano…
L’impresa. L’impero mediatico del Cav. ha
tratto beneficio dal suo impegno politico?
Premesso che nessuno (neppure l’interessato)
può realisticamente disegnare per Mediaset
uno scenario diverso da quello che è conseguito
dalla discesa in campo di Berlusconi,
la nostra risposta è sì, il Biscione ha guadagnato,
eccome! La nostra opinione è che le tv
di Segrate hanno “avuto” dalla politica più di
quanto non abbiano “dato” (nel senso del sostegno
politico al Cav., che pure c’è stato e c’è
– forte – in questa campagna elettorale). Si
tratta di svelare il tabù che vuole l’attuale
premier come campione dell’imprenditoria.
Senza voler sminuire le sue qualità, è noto un
settore più protetto e meno concorrenziale di
quello televisivo in Italia? L’assistenza statale
riservata a Mediaset non è affatto inferiore
a quella che è riservata, per esempio, alla
Fiat. A quest’ultima lo stato paga la cassa integrazione
per gli operai, alla prima garantisce
il fatturato, il risultato operativo (assenza
di fatto di concorrenti e tetti pubblicitari alla
Rai). Scusate se è poco…
L’intreccio. Il sostegno delle tv e dei giornali
del Gruppo non sono bastati invece a vincere
nel ’96 e forse non basteranno neppure
questa volta. Il successo, come la difficoltà, di
Berlusconi in politica dipendono più dalla
capacità di esercitare la sua leadership che
dall’influenza imprenditorial-televisiva. Allo
stesso modo, il successo di Mediaset dipende
più dalle condizioni della politica che del
mercato. Benché la legge Gasparri sia una
pessima legge e forse l’unica davvero “ad
aziendam”, va riconosciuto che Berlusconi
non è intervenuto in questi anni per favorire
ulteriormente la sua impresa. Si è limitato a
difenderne la posizione di vantaggio (precedente
al suo impegno diretto in politica e mai
messa davvero in discussione). Ha avuto il
merito di varare quella normativa sul conflitto
d’interessi che l’Ulivo non era riuscito
ad approvare ma ha avuto anche il demerito
di depotenziare politicamente, e quindi operativamente,
le Autorità di garanzia delle telecomunicazioni
e della concorrenza.
La soluzione. Nonostante i rulli di tamburo
che risuonano dalle parti di D’Alema e
Prodi, possiamo scommettere che difficilmente
la prossima legislatura sarà punitiva
per le imprese del premier. La minaccia di
intervenire sul conflitto d’interesse altro non
è che una balzana idea elettorale, una sorta
di moral suasion al contrario. Chiunque vincerà
dovrà invece porsi il problema di come
intervenire sul mercato radiotelevisivo con
spirito meno protezionista. Anche in caso di
vittoria della Cdl, sarebbe interesse di Berlusconi
fare un sacrificio e dare il buon esempio.
In un momento in cui tutti invocano il valore
della concorrenza come cura della competitività
economica del paese, non sarebbe
peregrino modificare in radice la Gasparri e
rafforzare le Autorithy, innanzitutto depoliticizzandole.
La soluzione non può essere nella
vendetta, ça va sans dire, ma neanche nel
laissez faire. Sta nel principio del libero mercato.
Non è questa l’ideologia politica di Sua
Emittenza? Perché non promettere un mutamento
liberale di regime? Perché continuare
a ricorrere alla maschera di un Cav. populista
per non sanare una legge (un’intera normativa)
oligarchica? Discutiamone…
Paolo Messa, curatore di Formiche



*****************************************************************



L'UNITA'
29 marzo 2006
Chi protegge il Caimano
Gianfranco Pasquino

È un ottimo segno che ispiratori e collaboratori del Cavaliere abbiano già iniziato il fuoco di sbarramento per proteggere le proprietà di colui che considerano il futuro ex premier dalle notorie inclinazioni alla confisca e all’esproprio da parte del centro-sinistra che, peraltro, si dimostrò incapace di esercitarle nei suoi 5 anni di governo. Astutamente, i berluscones intendono difendere così anche il loro posto di lavoro oltre che salvaguardare l’ipotizzabile ruolo politico di Berlusconi come capo dell’opposizione (faccio fatica ad aggiungere parlamentare, forse, meglio, “popolare”) a condizione che siano d’accordo Casini e Fini.
Pessimo, invece, è il segno della loro quasi totale incomprensione (o subdola manipolazione) di che cosa costituisce conflitto d’interessi in una democrazia, a maggior ragione liberale, dal momento che, peraltro, il liberalismo non è mai stato il tratto distintivo della democrazia italiana, tantomeno dopo cinque anni di (mal)governo della Casa delle Libertà nella quale i “liberali” hanno avuto limitata accoglienza e scarsissima agibilità.
Personalmente, sono del parere, magari anche criticabile e probabilmente non maggioritario, che qualsiasi legge sul conflitto di interessi dovrebbe comunque consentire a Berlusconi di continuare a fare il parlamentare della Repubblica. Dunque, sarei contrario a qualsivoglia clausola di ineleggibilità. Per quanto enormi siano le sue ricchezze e influentissime le sue proprietà, una volta in Parlamento, Berlusconi potrà disporre ad ogni buon conto soltanto del suo voto, e di quello dei suoi collaboratori ed estimatori, ma, in quanto parlamentare, non potrà decidere. Dovrà convincere una maggioranza e, allora, ciascuno dei parlamentari si assumerà la sua trasparente responsabilità se volesse mai legiferare a favore degli interessi di Berlusconi e dei suoi cari. Il conflitto di interessi riguarda, invece e più precisamente, i titolari delle cariche di governo (e di sottogoverno, per fare un esempio, nient’affatto peregrino, il Cnel incluso).
La legge deve stabilire che coloro che hanno determinate proprietà, non soltanto nel settore della televisione, ma anche in quello delle banche, dell’editoria, delle assicurazioni, delle cliniche, delle imprese edilizie, non possono ricoprire cariche di governo a meno che non si spoglino dei loro interessi in modo sia da non favorirli sia da non trovarsi in imbarazzo al momento di decisioni rilevanti che li riguardino. Naturalmente, il problema di Berlusconi è, come tutto quello che lo riguarda, enorme e straordinario. Nessuno vuole ridurlo in povertà. Uno strumento tecnico per risolvere il suo conflitto in tutti i settori di sua competenza, ad esclusione di quello televisivo, consiste, come era previsto nei progetti di legge del centrosinistra, nella creazione di un blind trust al quale affidare, nelle mani di un gestore indicato dalla legge, le azioni di sua proprietà e, eventualmente, la conduzione delle attività senza che il proprietario sappia che cosa farà il gestore e quindi non si trovi mai in grado e non cada in tentazione di favorire i suoi propri interessi.
Purtroppo, la stessa soluzione non sembra possibile per Mediaset a meno che, rapidamente, Berlusconi stesso la trasformi in una società per azioni e metta le azioni sul mercato. Abbiamo la certezza che andrebbero letteralmente a ruba, a prescindere dalla loro quotazione iniziale. Ma Berlusconi, persino quando gli si presentò la grande occasione di vendere a Murdoch, rifiutò. Motivò, quasi con le lacrime agli occhi, che non poteva separarsi dall’impresa della sua vita. Comprensibile, ma le imprese della vita di Berlusconi sono più d’una: Mediaset, l’Associazione Calcio Milan e la politica fatta da Palazzo Chigi. Berlusconi vuole rimanere in politica non soltanto facendo opposizione, ma anche preparandosi a ritornare al governo. Allora, deve risolvere il problema del suo conflitto di interessi liberandosi anche di Mediaset (e non con una semplice cessione ai figli) secondo i parametri delle legislazioni esistenti un po’ in tutte le democrazie europee e negli Usa. Quella di Bloomberg, sindaco di New York, è, a prescindere dallo squilibrio delle dimensioni del conflitto, una storia molto diversa. Insomma, Berlusconi si troverà di fronte ad un bivio. Può scegliere Mediaset oppure la politica. Non potrà avere entrambi anche se, questo è il sospetto, la prima è del tutto funzionale e forse indispensabile alla sua attività politica. Certamente, però, non ha giovato alla qualità della sua politica e del suo modo di governare. Separandosene sarebbe un potenziale governante più libero.



*****************************************************************



CORRIERE DELLA SERA
29 marzo 2006
E' scoppiata la guerra del conflitto di interessi.
Ecco chi la vincerà
Gianni Riotta

La campagna elettorale italiana è entrata in dirittura d'arrivo, con il centrosinistra di Romano Prodi in vantaggio nei sondaggi (ormai vietati da una legge che considera gli elettori come poppanti che si farebbero incantare dai sonaglini del mio amico Renato Mannheimer) e il centrodestra di Silvio Berlusconi che affida la rimonta alla mobilitazione degli astenuti conservatori, attratti dall'energia del primo ministro. La legge elettorale si potrebbe rivelare come i pifferi di montagna della fiaba, che andarono per suonare e furono suonati. Progettata in fretta per battere la sinistra, la legge concede invece all'Unione un vantaggio al Senato (posso spiegarlo a chi ha passato il corso di Algebra I, gli altri si fidino di Renato). Ma, prima che si contino i voti, si proclamino i vincitori e partano ambizioni, lottizzazioni e rimpianti, è già in corso la prima, grande, battaglia della prossima legislatura: la crociata sul conflitto di interessi.
Con Prodi a Palazzo Chigi sarà rimossa «l'anomalia», così la definisce un appello congiunto di Ferrara, Ostellino e Ricossa, di un premier capace di controllare tv, siti web, giornali, riviste, libri, assicurazioni, finanziarie, squadre di calcio (sia pur minori) e altre attività? Già da giorni la stampa vicina al presidente del Consiglio pubblica articoli sul tema, provando a individuare in Massimo D'Alema, esponente Ds che ha avuto parole risolute sul tema, il bersaglio. Con intelligenza lo si individua avversario centrale e si comincia a tessere un negoziato che ha come scopo finale garantire «che nessuna legge a maggioranza priverà della possibilità legale di far politica» Silvio Berlusconi.
Ci associamo senz'altro allo spirito migliore di questa iniziativa. Ogni intento punitivo contro le aziende del premier, contro Mediaset, contro i suoi giornali e il suo impero media sarebbe inopportuno politicamente, cigolante per la Costituzione e di dubbio gusto. Ma se, per la seconda volta dopo il 1996, il centrosinistra non avesse la tempra liberale di legiferare che in una democrazia del XXI secolo nessuno può essere giocatore e arbitro, che chi controlla spazi vitali dei media non può competere come leader politico in vantaggio sugli altri, allora si violerebbe l'anima della Costituzione, che assicura parità ai cittadini. Negli Stati Uniti i giudici conservatori della Corte Suprema, Scalia e Alito, considerano la Costituzione una pergamena da interpretare alla lettera, imbalsamata, non vivente, impermeabile al canone del presente. Dissento: le leggi sui diritti vivono per i diritti del tempo, ipocrita ingessarle al XVIII secolo. «L'esproprio proletario» per Canale 5 sarebbe un assurdo per ogni persona in buona fede: proposto dal no global Caruso, una volta che lo tireranno fuori dal freezer dove è stato riposto in campagna elettorale, verrebbe irriso. A lungo, prima del Berlusconi politico, Canale 5 fu più equilibrato della Rai, merito di Confalonieri e Mentana. Ma l'uso pugnace dei media controllati, non solo contro gli avversari di Berlusconi ma persino contro i suoi alleati quando serviva — e amaramente l'hanno sperimentato Follini, Fini, Casini, Bossi e Tremonti nei giorni di disgrazia —, conferma che un primo ministro non può regnare su un impero media. I conflitti di interessi, tutti non solo quello extra large di Berlusconi, vanno regolati, con equità e intese con l'opposizione, senza diktat o vendette, per garantire libera concorrenza, di mercato e di idee sotto la Costituzione. I firmatari dell'appello non se ne abbiano, ma sottovalutano Berlusconi: la metà degli italiani che si accinge a votarlo, con la maggioranza in bilico, lo fa perché ne condivide le idee o detesta la sinistra, non per i media. Berlusconi, che ha dimostrato passione politica formidabile, può battersi da protagonista anche senza il doping del conflitto di interessi. Non ha vinto grazie ai media, non ha perso per loro: ma dall'11 aprile in poi è bene che tutti competano finalmente alla pari, senza gli steroidi della tv.



*****************************************************************



“Vendetta” da maneggiare con cura
di CARLO FUSI

Il tema è spinoso ma tutt’altro che peregrino e infatti viene trattato con sussiego e qualche ipocrisia: se vincerà il centro-sinistra che tipo di legge sul conflitto di interessi si farà? Questione fondamentale perchè riguarda il futuro politico e imprenditoriale di Silvio Berlusconi (e già basterebbe) ma anche perché il centro-destra, se da un lato agita una questione che attiene direttamente alla leadership del suo schieramento, dall’altra picchia sul fatto che quando era al governo il centro-sinistra una regolamentazione siffatta non l’ha varata. L’Unione, sapendo di muoversi su un terreno minato, ribadendo comunque di voler fare la riforma, vuole evitare di offrire l’immagine di aver intenzione di varare un provvedimento di carattere vendicativo. E dunque Prodi assicura che non esiste alcun intento punitivo ad personam, che la legge sul conflitto di interessi «c’è in ogni Paese democratico», che magari si può occhieggiare al blind trust americano e tuttavia «c’è una grande saggezza nelle parole di Kolh quando sostiene che un uomo ricco con può fare politica».
Insomma il problema di fondo riassunto dal ”Foglio” - che punzecchia su questo fronte l’Unione - e cioè se una volta sconfitto nelle urne Berlusconi «possa riprovarci continuando a fare politica», Fassino replica secco: sicuramente il Cavaliere «può restare proprietario di Mediaset, purchè separi completamente» la gestione dalla proprietà. Il punto politicamente delicato - mentre l’Authority apre un procedimento contro il premier - resta il medesimo: il Polo si accanisce per accusare lo schieramento avverso di intenti illiberali; il centro-sinistra, che non può certo eludere la questione pena sollevare sconcerto nel suo elettorato, non intende offrire il fianco a speculazioni e provocazioni.



*****************************************************************




IL MESSAGGERO
29 Marzo 2006
Conflitto di interessi, indagine sul premier
Fassino: non deve cedere le sue tv, ma le affidi a un blind trust.
Casini: no a vendette
di ALBERTO GUARNIERI

ROMA - Non è più solo una questione di par condicio violata. L'Authority per le comunicazioni apre un'istruttoria per accertare anche l'eventuale violazione della legge sul conflitto di interessi. Dopo la denuncia dell’associazione Articolo 21, si dà il via alla procedura per verificare se c'è stato un «sostegno privilegiato» delle reti Mediaset a una persona che ricopre incarichi di governo, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Vi sarà un procedimento distinto rispetto alle normali violazioni della par condicio (oggi l’Autorità esamina quelle eventuali della settimana in cui il premier ha parlato al convegno degli industriali di Vicenza).
E di par condicio e conflitto di interessi è stata ricca tutta la giornata politica di ieri. Piero Fassino, nel corso di ”Porta a porta”, ha riconosciuto che il centrosinistra sbagliò a non approvare una legge su questa materia nella precedente legislatura, ma annuncia che in caso di vittoria dell'Unione «questa legge verrà fatta». Il leader Ds poi, a titolo personale, dichiara di preferire «il modello americano». Rutelli condivide l’idea del ”blind trust”. Ma Fini, sempre a ”Porta a Porta” attacca Fassino ricordando che nella precedente legislatura il centrosinistra non fece nulla proprio perché «era diviso» sul tipo di legge da fare. «Noi del centrodestra invece - ricorda - in questi cinque anni l'abbiamo fatto. Sarà una foglia di fico, ma almeno c'è».
Fassino controbatte ribadendo che si tratta di un provvedimento fasullo visto che il premier «è costretto ad uscire dal Consiglio dei ministri ogni volta che è in conflitto con l'argomento di cui si parla». Ma Fini insiste: «insomma se rimettete mano alla legge Frattini, Berlusconi potrà restare o no presidente di Mediaset?». «Certo che può restare presidente di Mediaset - risponde il leader della Quercia - purché separi completamente la gestione».
Il presidente della Camera Pier Ferdinando Casini definisce «ragionevole» l'approccio annunciato da Fassino, quando sottolinea che un eventuale governo del centrosinistra dovrà valutare caso per caso quali leggi approvate dalla Cdl siano da conservare e quali da abrogare. In particolare, proprio sul conflitto d'interessi, Casini specifica che «certo non ci potrà essere una legislazione punitiva verso Berlusconi» in caso di sconfitta della Cdl. «Sarebbe inaccettabile e sbagliata una legislazione contro di lui e le sue aziende», conclude il leader centrista, che, pur riscontrando di essere invitato «molto poco» dalle tv di Mediaset, dice: «Non mi lamento, è un secondo fioretto», dopo quello fatto per evitare polemiche nei confronti del leader della Casa delle libertà.
Scontri sulla par condicio, dopo i dati che dimostrano come in tutti i tg la Cdl abbia più tempo a disposizione, anche in Rai. I tg mostrano ancora uno «squilibrio» a favore della Cdl e, a meno di due settimane dal voto, il riequilibrio «è non solo doveroso ma urgente», afferma il consigliere d'amministrazione Nino Rizzo Nervo. «Se alla diffida dell'AgCom dovessero seguire anche le sanzioni economiche, di queste non potranno che rispondere personalmente quei direttori di testata che non ne hanno tenuto conto», conclude. «Leggo con stupore una dichiarazione di Rizzo Nervo sul tema della par condicio», replica il direttore del Tg2, Mauro Mazza. «Infatti il Tg3 da lui diretto, nelle settimana pre-elettorali del 2001 - continua - assegnò al centro destra il 32,4% dello spazio nelle principali edizioni, mentre il centro sinistra totalizzò il 49.6%».
E sempre per par condicio, la Rai rende noto che stasera alle 21 su Raidue la prevista puntata della fiction ”Incantesimo”, non andrà in onda causa della presenza tra gli attori di un candidato alle prossime elezioni. Si tratta di Toni Garrani, candidato nelle liste della Rosa nel pugno.



Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 19:54.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com