Concetto di acclamazione

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LORDLUTORTITUS
00martedì 21 luglio 2009 18:01
L'elezione per acclamazione è sempre un segno di debolezza




Fra le polemiche che negli ultimi giorni prosperano all'interno del costituendo Pdl c'è un posto per l'acclamazione. In parole semplici: il presidente della nuova formazione dovrà essere votato (a scrutinio segreto, a scrutinio palese) o semplicemente acclamato? Dietro l'apparentemente tecnico quesito sta la domanda: Silvio Berlusconi, per farsi eleggere presidente del nuovo partito, dovrà passare attraverso una conta e quindi l'inevitabile presenza di un dissenso? Il dissenso, si badi, potrebbe essere valutato in modi diversi: assenti dal voto, astenuti, schede bianche o nulle o con altro nome (in caso di voto segreto). Ovviamente, per ampia che fosse la base entusiasta dell'unico personaggio politicamente e razionalmente candidabile al ruolo, gli avversari farebbero in fretta a mettere insieme tutti coloro che, a vario titolo, non si fossero espressi per Berlusconi, e quindi a trarne la polemica conclusione della sussistenza di una percentuale di ostili al fondatore. L'acclamazione, è noto, è un metodo bonapartista e plebiscitario. La Chiesa cattolica, unico organismo al mondo che da due millenni elegga ininterrottamente il proprio vertice, ha da pochi anni cassato la possibilità (non usata da secoli) che deteneva il collegio cardinalizio di eleggere il papa per “quasi ispirazione”, ossia acclamazione. Ha preferito serbare lo scrutinio segreto, con maggioranza qualificata o, in subordine, il ballottaggio. Saggiamente, diremmo. An, dal cui interno giungono le maggiori riserve sul ricorso all'acclamazione, è un partito che, nella sua precedente incarnazione, sapeva molto bene a che serva tale metodo: a fingere che sussista l'unanimità. Nel dicembre 1984, quando Tomaso Staiti di Cuddia si candidò alla segreteria dell'allora Movimento sociale, il congresso nazionale, per evitare sgradevoli conteggi, scelse di acclamare segretario Almirante. Almirante: uomo che godeva, nel partito, una popolarità per certi aspetti paragonabile a quella di Berlusconi. Eppure, Almirante sapeva di avere avversari interni, dissidenti, insoddisfatti: preferì non quantificare i congressisti a lui ostili e si fece applaudire. Gli applausi non si contano. Soprattutto, non si contano quelli che all'applauso non prendono parte: o perché escono dalla sala o perché non battono le mani o perché, perfino, fischiano. La scelta dell'acclamazione tradisce la sostanziale debolezza di chi vuol passare per così forte da non dover nemmeno sottoporsi a un voto. Se Berlusconi riuscirà a imporre di venire acclamato (sdegnando egli, personalmente, l'ipotesi di subire conteggi di sì e di no), avrà certo dimostrato il proprio potere
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