INTELLETTUALI SU SINISTRA E AFFARI: TRAVAGLIO IL PRIMO, POI SPINELLI E SCALFARI

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INES TABUSSO
00mercoledì 4 gennaio 2006 03:11
CORRIERE DELLA SERA
3 gennaio 2006
«Sinistra e affari: intellettuali chierici muti»
Cordelli: dove sono i nuovi Pasolini? Solo silenzio dai Camilleri, gli Eco e i Tabucchi
l’Intervista

Il silenzio degli intellettuali. Perché gli scrittori di sinistra, romanzieri impegnati che non hanno esitato a denunciare la caduta morale della destra berlusconiana e hanno dedicato interi libri al presidente del Consiglio, in queste settimane non hanno ancora speso una parola sull’affare Unipol, sull’intreccio tra politica di sinistra e finanza, sul «collateralismo» di cui sono accusati i dirigenti del maggiore partito di opposizione, i Ds? Lo chiediamo a Franco Cordelli, critico teatrale e narratore che nel romanzo uscito nel 2004 da Rizzoli, Il Duca di Mantova , alias il Cavaliere, ha inteso descrivere «non precisamente la sua persona, ma il sentimento che suscita in me...l’immagine che ne deriva...E’ come se egli riassumesse tutto ciò che nell’Italia, fin da bambini, abbiamo imparato ad abiurare, la sua vanagloria, la sua superficialità, il suo conformismo, infine la trivialità». Va bene, ma perché attaccare Berlusconi e lasciar perdere la sinistra? La risposta di Cordelli, 63 anni, definito da Giovanni Raboni uno dei pochi scrittori «capaci di esprimere credibilmente e durevolmente il proprio tempo», comincia con un’autocritica: «Io stesso ho tardato a prendere cognizione che quanto sta accadendo è nello stesso tempo un po’ meno grave ma anche più pesante di quanto avvenuto ai tempi di Tangentopoli. E’ meno grave in quanto, a parte la posizione di Giovanni Consorte, che non è un politico, ancora non ci sono coinvolgimenti giudiziari come quello di Primo Greganti, il compagno G che decise di non rispondere e affrontò il carcere pur di difendere il partito. Ma si trattava di poche persone. Oggi, invece, ed è questo l’aspetto più grave, viene toccata una questione cruciale per la sinistra nel suo insieme, cioè la sua moralità. La politica di sinistra perde di senso, il suo connotato, la sua identità, la sua fisionomia senza il rapporto con l’etica. Perciò mi appare impossibile che gli intellettuali come me schierati a sinistra non siano turbati dal sospetto e dal timore che politica e morale stiano prendendo strade opposte».
Eppure nell’ultimo decennio, almeno dall’introduzione del sistema maggioritario e dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi, secondo Cordelli «si è rafforzata nell’ intellighentia di sinistra la convinzione di una superiorità morale nei confronti della destra. Tendiamo a giudicare l’avversario politico come inferiore e con ciò commettiamo un gravissimo errore: scambiamo il moralismo con la morale». Un senso di superiorità che impedisce la visione critica verso la propria parte, «che caratterizzava due scrittori impegnati come Pier Paolo Pasolini e Leonardo Sciascia. Il primo scrisse nel 1968 la poesia in difesa dei poliziotti proletari contro gli studenti figli della borghesia, poco più di un decennio dopo lo scrittore siciliano lanciò la coraggiosa polemica sui professionisti dell’antimafia». Pasolini morì nel 1975, Sciascia nell’89. Con loro, secondo Cordelli, è finita un’epoca: «In genere lo scrittore racconta (e critica) ciò che conosce meglio, con l’arrivo del maggioritario gli scrittori di sinistra hanno cominciato ad attaccare l’avversario politico proclamandolo altro da sé, e diventando così razzisti e moralisti». Con buona pace del ruolo di coscienza critica del «principe».
Quali le assenze più significative notate da Cordelli in questa vicenda Unipol? «Né Umberto Eco né Andrea Camilleri né Rosetta Loy né Antonio Tabucchi hanno preso la parola. Eppure il momento per parlare, per abbattere la barriera politico-moralistica che divide la sinistra dalla destra era proprio questo. Il modo più serio per restituire senso alla politica di sinistra è infatti raccontare e prendere posizione su quanto sta accadendo in casa propria, non occuparsi soltanto degli scandali altrui. Soltanto così non sei più un moralista ma entri nel vivo della questione morale, che, ripeto, è ciò che ci rende diversi dalla destra. Il politico che ho ammirato di più è stato Enrico Berlinguer, che proprio dell’etica ha saputo fare una bandiera politica».
Qualche voce per la verità a sinistra si è levata. «Ma - osserva Cordelli - si è trattato di giornalisti. Il primo a denunciare le responsabilità dei Ds è stato Marco Travaglio, che scrive sull’ Unità ma ha origini di destra. Poi sono arrivati, tra gli altri, gli articoli di Barbara Spinelli e di Eugenio Scalfari. Molti a sinistra sono stati colpiti dalla posizione del fondatore della Repubblica . Benché interpretino al meglio il loro mestiere, questi giornalisti hanno occupato il vuoto lasciato dagli scrittori impegnati».
Cordelli propone una data per tale mutazione: «Senza avere nulla di personale contro questo o quell’autore, faccio risalire il cambiamento di fisionomia dello scrittore italiano al 1980, quando è apparso sulla scena Andrea De Carlo. Da allora la nostra letteratura si è liberata da tanti pregiudizi ideologici e volontarismi, diventando però narcisista e attenta soprattutto al proprio tornaconto, più concentrata sul mercato che sulle esigenze dell’arte». E l’impegno dov’è finito? «E’ diventato un elemento esterno alla propria opera. In Sciascia, per fare un esempio, c’era una continuità tra un romanzo come Todo Modo , dedicato al tema del compromesso, e gli interventi politici. Oggi invece i gialli di Andrea Camilleri o i racconti memorialistici di Rosetta Loy non hanno nulla a che fare con i proclami politici degli autori. Lo stesso discorso vale per Umberto Eco: da una parte c’è Baudolino dall’altra le dichiarazioni politiche. Quanto ad Antonio Tabucchi, che pure non è tra i miei autori preferiti, c’è da dire che ha dato il meglio fino a Requiem . Quando ha scritto romanzi impegnati, Sostiene Pereira o La testa perduta di Damasceno Monteiro ha acquistato in popolarità, non in qualità».
Ma il discorso si estende all’intera comunità degli scrittori di sinistra: «Quando hanno cominciato a staccarsi dalla realtà hanno perso prestigio, una qualità che non dipende dalla collocazione politica».
Dino Messina
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