NOSTALGIE DI PERA

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INES TABUSSO
00lunedì 16 luglio 2007 12:56

LA STAMPA
16 luglio 2007
Nostalgia di quei giudici
MARCELLO PERA

Sono due le lezioni, amare e sconfortanti, che si possono trarre dal dibattito
sulla riforma dell’ordinamento giudiziario. Ed è indicativo che nessuna delle
due riguardi il provvedimento, povero, come povera era la riforma Castelli che
questa ha modificato. La prima è che il Paese non supera il trauma di Mani
pulite. Ha superato, «all'italiana», quello del terrorismo: oblio, perdonismo,
elezione al Parlamento di vecchi condannati, trasformazione di altri in eroi o
maestri di pensiero, interpretazioni compiacenti della Costituzione per
concedere la grazia a qualche favorito.

Sono rimaste solo le vittime di quella stagione a rammentare allo Stato che
non ha fatto niente né per loro né per sé stesso, se non far scorrere il tempo
affinché tutto venga sepolto.

Mani pulite, invece, non passa neanche col tempo. Se in Senato sono nati
incidenti, è perché la ferita non si rimargina. Né si rimarginerà se chi ieri
era imputato siede oggi in Parlamento, talvolta assolto, davanti a chi era
giudice, se chi era giudice siede accanto a chi era avvocato, se chi faceva
tintinnare le manette si confronta con il vecchio malcapitato, se l'uno si
rivolge all'altro chiamandolo «dottore», «avvocato», «professore», se ciascuno
rivendica le proprie benemerenze giudiziarie ed esibisce le vecchie medaglie, e
nessuno avverte che non è il caso di intervenire a replicare i vecchi ruoli. Un
passato non sanato che non diventa storia incombe sul nostro presente non
guarito che non si fa progetto.

L'Italia dei salvati e l'Italia dei sommersi, degli affondatori e dei
naufraghi, ancora non si riconoscono. Ci trasciniamo il cadavere per non aver
saputo chiudere la partita (ad esempio nell'ultima Bicamerale), perché incapace
una parte di concedere di più e l'altra parte di accettare di meno. E così si
va avanti a parlare di giudici e pubblici ministeri, non della giustizia, che
dagli italiani è temuta o a essi denegata. Quale prova migliore che ormai la
cura del servizio è tolta dalle mani della politica per essere delegata agli
addetti che la esercitano?

Da questo, l'abdicazione dalle responsabilità, nasce la seconda lezione. A
destra e a sinistra, manca oggi all'Italia una classe politica autorevole che
riesca l'una a essere interlocutrice dell'altra e tutte a due assieme punto di
riferimento e guida ferma dell'intero Paese. Perciò vincono le corporazioni e
anche le corporazioni si degradano.

Su questo punto, è toccato al senatore Cesare Salvi fare le considerazioni più
amare ma anche più appropriate. «Ho nostalgia - egli ha detto - di Michele
Coiro, Marco Ramat, Giovanni Palombarini. Ho nostalgia di una magistratura che
faceva valere i diritti dei cittadini, che faceva fronte compatto per
l'autonomia e l'indipendenza della magistratura ma diceva anche che l'autonomia
e l'indipendenza della magistratura non sono il privilegio di un corporazione.
Mi auguro che si possa voltare pagina».

Mezza Italia ebbe, e ancora ha ragione di avere, in gran sospetto quella
magistratura. Ma un bel po' di ragioni esistono per essere nostalgici. Così
come ne esistono anche di maggiori per avere tanta nostalgia di un'altra
magistratura, quella di Giovanni Falcone. Erano magistrati, quelli, che avevano
idee, progetti, ideali, coraggio. Oggi che non ci sono più o non sono più
attivi, spesso affondati dai loro mediocri epigoni, questa carica ideale è
scomparsa. Resta il peggio: l'interesse alla carriera, alla promozione senza
spostarsi di casa, all'aumento di stipendio. Tutto fuor che al merito, alla
produttività, all'efficienza.

C'è stato un tempo recente in cui i rappresentanti di una di queste
magistrature (Falcone) si sono impegnati per realizzare istituti importanti (le
direzioni antimafia), e alcuni dei rappresentanti dell'altra magistratura (i
Salvatore Senese, i Vittorio Borraccetti) si sono adoperati per fare riforme
coraggiose (il giusto processo). Era il tempo in cui, anche per merito loro, la
politica aveva forza o comunque si faceva forza. Oggi che la criniera dei
vecchi leoni è stata rimpiazzata dalla coda dei cuccioli dei gattopardi, anche
la politica si è degradata, ridotta a rissa per vincere le elezioni ma non a
competizione per governare il Paese. Restano il ministro che segue il
sottosegretario, il sindacato che sovrasta il Parlamento, il Consiglio
Superiore della Magistratura che ignora la Costituzione, le corporazioni che
hanno ragione su tutto, e i leader politici che non ce la fanno a essere
autorevoli, credibili, avversari ma interlocutori reciproci. Insomma, resta
l'Italia lì ad aspettare, se resta ancora e se ce la farà ancora ad aspettare.




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