PAOLO SYLOS LABINI, PROFESSORE E GALANTUOMO

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INES TABUSSO
00giovedì 8 dicembre 2005 22:45

L'UNITA'
8 dicembre 2005
Sylos Labini, professore e galantuomo
di Furio Colombo

Questo è un atto di omaggio, affettuoso e devoto, per un grande amico che ha dato, in Italia, un esempio raro e prezioso. Non sto parlando dell’economista noto nel mondo, dell’intellettuale instancabile fonte di pensiero originale e di un nuovo modo di vedere, di capire, di organizzare i dati e le cose. Non sto parlando del docente che generazioni di allievi - alcuni diventati docenti, altri a dirigere e a far politica - che non vorranno mai dimenticarlo. Sto parlando dell’uomo famoso e anziano che avrebbe potuto stare tranquillo, scrivere i suoi saggi...

Avrebbe potuto continuare a incassare un indiviso tributo di rispetto e di ammirazione. E invece quando ha visto l'Italia avviarsi lungo il percorso delle leggi negate, degli interessi personali esaltati, delle promesse assurde e impossibili e del blocco completo del sistema delle informazioni, Sylos Labini non ha rinunciato alla sua battaglia di uomo libero.

È grazie a persone come lui che l'Italia non ha perso la faccia, non appare a tutti e del tutto un Paese ridicolo e non credibile come chi per il momento la governa. E' grazie alla sua notorietà internazionale che tanti in Europa, hanno capito che l'Italia poteva rinascere e tornare al pieno rispetto del diritto dei cittadini e del diritto di comunicazione e di verità. Molti in Italia e in Europa non dimenticheranno ciò che devono a lui, quel senso indomabile di dignità e libertà che ci consente di restare orgogliosi del nostro Paese e della nostra identità pur così incredibilmente offesa. Gli siamo stati accanto in tante occasioni in cui, nonostante l'età, la difficoltà, la fatica, lui c'era, a dire la verità sgradita, presentando il suo caso con quella sua limpida logica che nessuno ha mai potuto contraddire o negare.

E lui è stato accanto a noi in ogni momento della difficile prova di ridare vita a questo giornale e di dire e ripetere con tenacia che in questo Paese stavano accadendo cose non tollerabili e non compatibili con la nostra Costituzione. E quando la Costituzione è stata brutalmente mutilata è stata alta la voce di Sylos Labini nel silenzio italiano. La ricordiamo oggi, nel giorno amaro della sua scomparsa e della solitudine che lascia. Lo ricorderemo nei giorni in cui ritorneranno intatti la fiducia e il rispetto per il nostro Paese e si sarà diradato il maltempo politico che ancora imperversa.
Il nostro è un grazie grande, grato e fraterno.

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La tenacia di Paolo
Elio Veltri

Paolo Sylos Labini ci ha lasciato. Grandi e intensi sono dolore e commozione perché negli ultimi anni abbiamo condiviso una battaglia civile e politica fatta il più delle volte di amarezze e isolamento. Paolo era solito dire: «Come economista sono discreto. Ma il merito maggiore che mi riconosco è la tenacia». E così è stato fino all’ultimo: tenace e intransigente nella difesa dei valori di laicità (mai laicista) dello Stato, dell’etica pubblica, della scienza al servizio del Paese. Paolo è stato un grande patriota: amava la patria e la voleva pulita, giusta e nobile. È stato indulgente nei confronti delle debolezze umane. Ma mai verso gli opportunismi. L’opportunismo e il conformismo li considerava la vera malattia del Paese, da combattere e da non giustificare mai.
Paolo Sylos Labini, come spesso accade era molto più noto e considerato all’estero che in Italia perché il suo carattere, il suo stile di vita, il suo parlare senza sottintesi, non sempre erano apprezzati in un Paese incline alle mediazioni, alle furbizie, ai piccoli e grandi opportunismi.
Con Paolo Sylos Labini se ne va l’ultimo e autentico erede di quella grande tradizione culturale, civile e politica che da Salvemini attraverso i fratelli Rosselli, Ernesto Rossi e Galante Garrone arriva ai giorni nostri. Uomini che mai si sono compromessi né con il fascismo né con il comunismo. Che da sacerdoti laici hanno combattuto a viso aperto e pagandone le conseguenze regimi, chiese e corporazioni. Che lasciano un vuoto incolmabile.
Paolo aveva scritto il suo testamento morale e civile in un lungo articolo che l’Unità aveva pubblicato dividendolo in due parti. «Non sono credente, ma ho grande rispetto per chi crede e si comporta di conseguenza. Penso che tanti e tanti, anche i più cinici, siano tormentati da quando hanno l’età della ragione dal problema della religione, ossia da due problemi: il senso della vita e la prospettiva della morte. Per questa prospettiva ritengo che quando la signora vestita di nero si presenterà al mio cospetto, la tratterò - mi auguro di essere coerente - con cortesia e con «arguzia», come dice e come probabilmente ha fatto il mio amico Adamo Smith e come ha certamente fatto il mio amico e maestro Gaetano Salvemini il quale quando stava per «chiudere gli occhi alla luce» ebbe la visita di due ex studentesse, che si accostarono trepidanti e commosse al maestro che stava per morire - e lui lo sapeva bene: «come siete carine, disse, se mi rimetto vi sposo tutte e due».
È morto proprio così. Prima di perdere conoscenza aveva il suo sorriso ironico stampato sul viso sereno anche se il dolore nei giorni precedenti si era fatto sentire ed era stato terribile. I miei sentimenti sono gli stessi di Occhetto, Giulietto Chiesa, Novelli, Falomi e dai tanti compagni e amici che lo adoravano e che hanno condiviso l’esperienza di impegno civile e politico nel Cantiere. L’ultimo lavoro di Paolo è un libro che stava scrivendo per il suo editore Laterza. Aveva voluto che lo leggessi, come faceva sempre quando scriveva di «politica» accettando con modestia consigli e suggerimenti. Mi auguro che l’editore lo pubblichi perché, ne sono certo, è utile al Paese.


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CORRIERE DELLA SERA
8 dicembre 2005

L’economista Paolo Sylos Labini è morto ieri nella clinica romana Villa Carla. Aveva 85 anni ed era da tempo ammalato. La camera ardente verrà allestita domani nel dipartimento di Scienze statistiche de «La Sapienza»; i funerali si svolgeranno sabato mattina nella città universitaria.
Scrivo di getto, sotto l’impulso di una forte commozione, senza l’ausilio della mia biblioteca: spero che i lettori mi perdoneranno le imprecisioni. E spero di tornare a parlare di Paolo Sylos Labini su questo giornale con maggior calma e in modo più riflessivo: in un Paese di nani, ci ha lasciati un gigante, un gigante di cui ho avuto la fortuna di essere allievo, e devo fare uno sforzo per essere obiettivo. Per farlo scompongo in vari pezzi una persona in cui doti e lacune, pregi e difetti, slanci e chiusure si componevano in una identità inconfondibile, compatta, difficile da scalfire. E ne so qualcosa.
Paolo Sylos è stato un grande economista, sicuramente il più noto e apprezzato all’estero, insieme con Piero Sraffa, nella seconda metà del secolo scorso. Allievo di Alberto Breglia a Roma negli anni Quaranta, aveva seguito per un anno a Harvard le lezioni di Schumpeter, nel 1949 o nel 1950, se ben ricordo. Insieme ad Adam Smith, Schumpeter - e attraverso di lui la tensione tra sensibilità storica e ambizioni teoriche - rimase il punto di riferimento di tutta la sua vita di studioso. Tornato in Italia, scrisse un saggio profondamente originale, se valutato nel contesto della teoria dei mercati allora dominante: Oligopolio e progresso tecnico (1956). Si trattava di un lavoro molto ricco, pieno di spunti, ma divenne soprattutto noto attraverso la brillante modellizzazione che Franco Modigliani fece del suo nucleo teorico, la teoria del prezzo limite. Si tratta di un pezzo dell’analisi dell’oligopolio che oggi è ricompreso nel capitolo sui mercati contendibili, ma che fino a non molti anni or sono tutti i manuali d’economia riprendevano dall’articolo di Modigliani. Altri economisti si sarebbero fermati a rifinire ed estendere l’argomento che aveva dato loro la fama: Sylos Labini andava laddove lo portava la sua inesauribile curiosità, l’urgenza dei problemi economici e sociali che riteneva politicamente più importanti. Nel periodo in cui gli sono stato più vicino, alla fine degli anni Sessanta, stava lavorando sugli argomenti che presero forma in Sindacati, inflazione e produttività : altro libro straordinario, su cui si è formata la mia generazione di political economists , di economisti che non dissociano un’analisi precisa dell’economia dal contesto politico e istituzionale in cui essa si svolge. Mi fermo qui, per il Sylos Labini economista, lasciando ad altri suoi allievi, più giovani, il gusto di parlare dei lavori successivi, quelli coevi alla fase in cui gli furono vicini: sull’economia italiana, sulla teoria del valore, sulla storia delle idee economiche, sullo sviluppo e il sottosviluppo, il grande tema schumpeteriano e smithiano su cui ha continuato a produrre lavori eccellenti fino a pochi mesi or sono. Perché questo era tipico di Sylos insegnare facendoti partecipe del lavoro che lui stava facendo. Andavi a trovarlo, nel suo ufficio o a casa sua, con alcuni problemi che ti assillavano. Risolti rapidamente questi, ti trovavi sommerso nei problemi che assillavano lui. Problemi di economia, ma anche del tutto estranei all’economia, di sociologia, di storia, di impegno politico immediato.
Sociologia. Chi non ricorda un saggio che fu una bomba nei primi anni Settanta, che costrinse tutti i sociologi a misurarsi con lui, il Saggio sulle classi sociali ? Il modo in cui quel libro venne costruito era tipico del metodo di lavoro di Sylos Labini. Poche grandi opere di riferimento, Smith, Marx, Schumpeter e non molto altro, perché non era da lui costruire «libri a mezzo di libri», passando da citazione a citazione. Spesso erano i suoi assistenti (o meglio, i suoi «assistiti» come ci chiamava) a ricordargli: professore, questo l’ha già detto il sociologo X, il filosofo Y o l’economista Z. «E allora? - replicava - Io lo dico alla luce dei dati che sto considerando». Questo era il suo metodo: il saggio sulle classi sociali nacque da una ispezione attenta e curiosa dei dati censuari, dalla scoperta - in un momento in cui la classe operaia era il soggetto politico di riferimento - che il nostro era ed era sempre stato un Paese di classi medie, di piccola borghesia, e di una borghesia media e alta in cui si annidavano rentier e «topi nel formaggio».
Impegno politico e civile. Questa è una costante della vita di Sylos, e attraversa i più diversi campi. La consulenza ai governi del centrosinistra: il Saggio sulla programmazione , scritto insieme a Giorgio Fuà, fu un lavoro importante nella seconda metà degli anni Sessanta. Siro Lombardini, Giorgio Ruffolo, Federico Caffè, insieme a Giorgio Fuà, furono i suoi compagni in un’avventura in cui un socialista liberale come Sylos Labini credette profondamente ed il cui fallimento lo lasciò molto amareggiato. Ma anche impegni riformistici a raggio più corto e con un impegno personale più diretto. Per esempio, l’impegno cui si dedicò, con la passione meridionalistica che derivava da Gaetano Salvemini e da Giustino Fortunato, per fare dell’Università della Calabria a Cosenza un campus modello. Nino Andreatta era rettore e Sylos Labini preside della facoltà di Economia: difficile immaginare due persone in apparenza così distanti - la passione fredda di Nino e quella caldissima di Paolo - eppure così vicine. O ancora, la continua attenzione ai problemi di riforma dell’Università. O l’ambizione di creare, dopo i disastri degli anni Trenta e Quaranta, del fascismo e dell’economia corporativa, un gruppo di economisti italiani degni della grande tradizione da cui la nostra scienza economica era nata e capaci di interagire da pari con gli economisti anglosassoni. I giovani economisti italiani d’oggi, che vivono a cavallo tra gli Stati Uniti e il nostro Paese, non sanno quanto devono a uomini come Sylos Labini, Sergio Steve, Caffè, Lombardini, Fuà.
Altri «pezzi» potrei e vorrei aggiungere, di una personalità straordinaria. Ma dovranno aspettare, e con essi l’insieme, il daimon che l’ha mossa nella vita, una riflessione più serena.
Michele Salvati
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