UNA RELAZIONE MALATA: MA I POLI l'HANNO CAPITO?

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INES TABUSSO
00giovedì 12 gennaio 2006 19:40
LA STAMPA
12 gennaio 2006
Democrazia e appalti
di Stefano Micossi


Il dibattito sul ruolo dei Ds nella scalata di Unipol alla Bnl sta degenerando in una rissa pre-elettorale, nella quale i due poli si scambiano colpi sempre più bassi, senza gran costrutto. Si dovrebbe, invece, discutere della relazione malata tra la politica e l'economia, che rappresenta la vera palla al piede dell'Italia; si dovrebbe discutere dei modi e degli interventi specifici per correggere strutturalmente questa relazione malata.

Il problema ha due facce. La prima è la progressiva «corporativizzazione» dell'economia italiana. Mentre gli altri si aprivano alla globalizzazione e alla rivoluzione tecnologica, noi ci chiudevamo, rifiutando il cambiamento ed erigendo un sistema diffuso di protezione di gruppi e categorie: nelle leggi, nazionali e locali, negli accordi collusivi coordinati dalle associazioni, nella presenza di sindacati sempre più irresponsabili nel pubblico impiego e nei servizi pubblici, nei comportamenti delle amministrazioni. I sussidi alle imprese e la svalutazione del cambio hanno mantenuto in vita la parte più obsoleta del nostro sistema manifatturiero, così come la rete protettiva della Banca d'Italia ha impedito la modernizzazione del nostro sistema finanziario, che resta opaco, banco-centrico e tra i più costosi del mondo.

Naturalmente, gruppi e categorie protetti sono ben rappresentati nelle assemblee elettive e premono per prolungare le protezioni su un sistema politico debole e frammentato: il quale, mancando di una visone forte sull'economia e la società, non si fa pregare ad accontentarli. Oltre che inefficiente, il sistema è sempre più iniquo; non solo non si cresce, ma aumentano le aree di esclusione. Cresce il risentimento degli esclusi verso le istituzioni e la società, dato che l'accesso ai mercati e i meccanismi di selezione delle persone sono gestiti in maniera collusiva dagli stessi interessi organizzati.

Un forte antidoto sarebbe fornito dalle regole europee sulla libera circolazione e la concorrenza; ma, invece di farle rispettare, le istituzioni tendono ad assecondare gli interessi organizzati che chiedono di indebolirne e ritardarne l'applicazione. Non a caso l'Italia ha il record peggiore, tra gli stati membri dell'Unione, nella trasposizione e nell'applicazione delle direttive europee.

La seconda faccia del problema italiano è l'intervento diretto della politica nella gestione dell'economia, che ha assunto ormai dimensioni da economia socialista. L'invasione si è sviluppata principalmente lungo tre direttici. Anzitutto, il sistema delle spoglie nella selezione delle persone, ormai esteso a tutti i livelli delle pubbliche amministrazioni, agenzie, autorità indipendenti, società controllate di ogni tipo. Le persone così selezionate sono spesso incompetenti, talvolta fino ai limiti della comicità; ma quando commettono disastri e si cerca di sostituirle, subito il referente politico si affretta in sua difesa. Non può sorprendere che intere parti dell'amministrazione e dei servizi pubblici mostrino segni di collasso.

La seconda direttrice di intervento è il sistema degli appalti, delle forniture pubbliche, delle concessioni, ancora in larga parte sottratto a ogni regola di trasparenza, concorrenza e qualità. Dimenticando che l'applicazione di standard esigenti nelle forniture pubbliche, nelle concessioni, e in generale nella gestione del territorio e dell'ambiente, sono fattori determinanti del contenuto di tecnologia e di innovazione del settore privato. Infine, la novità recente è la moltiplicazione di amministrazioni e società pubbliche che si lanciano in operazioni spericolate, allegramente sostenute dal sistema finanziario, che di solito finiscono male e che portano beneficio soprattutto ai promotori, quasi mai ai cittadini e all'economia.

Sullo sfondo, si agita un ceto politico di quasi mezzo milione di persone - secondo le stime del bel volume di Cesare Salvi e Roberto Villone «Il costo della democrazia» - che perlopiù ha fatto della politica il veicolo della personale carriera, invece che di servizio al pubblico. E pesa come un macigno il problema mai risolto del finanziamento pubblico della politica: i cui costi si dilatano senza freni, mentre mancano i meccanismi che dovrebbero garantire la trasparenza dei bilanci e la partecipazione democratica degli iscritti alle scelte di gestione dei fondi. La sciagurata legge 157 del 1999 ha peggiorato le cose, distribuendo il finanziamento pubblico a ogni mini-partito sopra la soglia dell'1 per cento dei voti e alimentando l'incredibile frammentazione del nostro sistema politico.

Di questo dovrebbero occuparsi i partiti e i salotti televisivi Di questo vorremmo leggere nei programmi dei poli che si contenderanno tra breve il nostro voto nelle elezioni politiche: vorremmo sapere se hanno capito che questo è il problema e quali rimedi propongono per risolverlo.
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