VIRATA DALL'UNDERSTATEMENT AL PULP DEL CELEBRE MASSMEDIOLOGO CONSULENTE DI FASSINO?

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INES TABUSSO
00domenica 8 gennaio 2006 18:22

"è necessario che il reato commesso susciti ed ecciti gli animi popolari"
"Per attivare l'audience pubblica e consentire che prenda vita un processo di indignazione collettiva"


DALL'UNDERSTATEMENT AL PULP?
C'E' DA NON CREDERE AI PROPRI OCCHI, E PENSARE CHE FINO A QUALCHE MESE FA VOLEVA "ottenere consenso senza parlar male dell’avversario:



tratto da:
LA STAMPA, 8 gennaio 2006, "Troppo poveri per indignarsi", di Klaus Davi (*):

"La saga intrecciata di Unipol e Antonveneta, e la sorte dei vari Ricucci, Fiorani, Gnutti, Fazio e Consorte che appassiona da questa estate soprattutto quotidiani e settimanali di opinione, fatica a penetrare nel target popolare:esattamente tra quell'80 per cento di italiani che pur orecchiando la vicenda, non se ne sente particolarmente toccato. Non ne capisce il senso, ne segue a fatica i passaggi...
Morale: la storia dei «furbetti» non è ancora popolare.
E, a mio avviso, sostanzialmente per 4 motivi:
...
Sul piano giudiziario eventuali responsabilità politiche sono ancora tutte da accertare. Bisogna capire se qualcuno abbia intascato tangenti. Con le indiscrezioni non si scava nell'immaginario. E se illazioni bastano per compilare articolesse di 120 righe, risulta difficile un retroscena nell'economia di un telegiornale. La comunicazione ha bisogno di uno o più accusati con reati possibilmente ben comunicabili. L'imputato Consorte da solo non fa audience. Per questo ora la drammaturgia collettiva per accendersi avrebbe bisogno assoluto di un politico (possibilmente non un peones) da mettere nel mirino...
Una volta individuato l'obiettivo, è necessario che il reato commesso susciti ed ecciti gli animi popolari. Per questo non basta certo una intercettazione. Per attivare l'audience pubblica e consentire che prenda vita un processo di indignazione collettiva, è irrinunciabile un meccanismo in cui anche il cosiddetto uomo della strada si ri-conosca. Tangentopoli ha dato corpo a questi meccanismi anche perché la gente si sentiva derubata dei «suoi» soldi dai politici. Cosa per altro acclarata dai giudici in seguito. Ma non si crea tutto ciò a tavolino. Ci vogliono prove e su questo punto spetta ai magistrati indagare e fare chiarezza, non c'è suggestione giornalistica che tenga".


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tratto da LIBER ON WEB:

Davi, Klaus
Di' qualcosa di sinistra ("Per vincere in politica senza parlar male del Cavaliere")
Marsilio - Collana: I Grilli

Note di Copertina
Il provocatorio libro del massmediologo, editorialista del tg3, de "L'espresso" e di "TV Sorrisi e Canzoni"

È possibile, in politica, ottenere consenso senza parlar male dell’avversario? È la grande sfida che questo libro lancia a una sinistra italiana cronicamente ammalata di antiberlusconismo. Prendendo spunto da alcune celebri case histoires aziendali, incrociate con la portata innovativa di alcune campagne politiche come quelle di Margaret Thatcher, Gerhard Schröder, Bill Clinton, George W. Bush, José Mariía Aznar e Tony Blair, l’autore suggerisce quali siano i passi da seguire per vendere il "prodotto politica" in modo chiaro e coerente e illustra i vantaggi di una comunicazione positiva per la conquista dell’elettorato. Ne risulta un prezioso strumento di analisi e di individuazione di quelle regole necessarie, non solo in politica, per trarre benefici professionali da un miglioramento del proprio linguaggio o, più semplicemente, per conoscere le dinamiche che conducono al raggiungimento del consenso


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tratto da:
Affari Italiani, 23 aprile 2004, "Piero Fassino e Klaus Davi":

L'uomo del giorno. Il leader dei Ds sconfigge Berlusconi in duello televisivo
a distanza. Mentre il Premier aveva dovuto accontentarsi di uno share del
17,19% nel corso della sua ultima apparizione a Porta a Porta, il segretario
dei Ds, Piero Fassino, è arrivato a superare il muro del 20%. Sbalordendo
il pubblico per il suo cambio d'immagine: nuovo il taglio dei capelli e
frasi più brevi per esporre i propri concetti politici.

Già, però, a ben guardare, l'uomo del giorno non è Fassino. Bensì chi ha
messo il segretario dei Ds nelle condizioni di "fare la differenza". Il
suo massmediologo di fiducia, l'uomo che gli sta curando l'immagine in vista
della prossima campagna elettorale: Klaus Davi. "Sono solo uno dei consulenti",
precisa l'interessato, contattato da Affari.

Ok, ma come vede questa campagna elettorale dal punto di vista di Fassino?
Su cosa sta lavorando il segretario dei Ds? Quale può essere insomma il
segreto del suo successo?
"Come si può vedere dagli ultimi dati, Fassino è l'unico che dialoga con
i ceti che hanno votato per Berlusconi. Quelli poco scolarizzati. E ha sfondato
al Sud. Erano anni che un messaggio del Centrosinsitra non arrivava a target
meridionali. E' già un grosso risultato per l'Ulivo".

Lei ha appena pubblicato un libro "Di' qualcosa di sinistra", edizioni Marsilio.
Cosa l'ha spinta a farlo?
"La motivazione non è personale. Visti i disastri combinati dal Centrosinistra,
complice la Rai, nel 2001, mi sono chiesto come fosse possibile che una
forza politica moderna potesse commettere degli errori così marchiani. Da
quest'indignazione è nato questo libro".

E allora secondo lei cosa dovrebbe fare la sinistra per evitare gli errori
del passato e tornare al governo?
"Tanto per cominciare, smetterla di aggredire l'avversario politico. E poi
abbandonare atteggiamenti snob ed elitari, stabilire un rapporto più diretto
con la propria base elettorale cercando di analizzare da chi è composta,
capire chi non l'ha votata e perché, provando poi a dialogare con quei gruppi
sociali. In particolar modo gli 'zoccoli deboli' erano sud, donne e giovani.
Mentre gli anziani hanno votato molto a sinistra".


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tratto da:
IL MESSAGGERO VENETO, "Klaus Davi e l’immagine", di Francesco Mannoni:

GIORNALISTA:
Come e perché Silvio Berlusconi è diventato l’ossessione della sinistra italiana? Il premier che, secondo un’accurata indagine statistica riportata dall’intelligente massmediologo e editorialista Klaus Davi nel suo provocatorio saggio "Di’ qualcosa di sinistra", totalizza 300 citazioni a settimana, è una sorta di spada di Damocle sulle concitate esternazioni dei suoi nemici politici che vedono in lui un pericolo da bloccare, un contagio da evitare, il male in assoluto da esorcizzare con tutti i mezzi. Neutralizzare Berlusconi secondo Davi, significherebbe per la sinistra «sbarazzarsi del vecchio mito del centralismo televisivo – che continua ad ammorbare le strategie dei partiti – studiando una comunicazione che sappia andare davvero oltre la tv». È la sfida che sta coinvolgendo la sinistra intenzionata a ritrovare il favore di un elettorato disorientato da tante fratture, e perciò punta su un linguaggio comprensibile e coinvolgente. Solo così, secondo Davi, è possibile «vincere in politica senza parlar male del cavaliere».

KLAUS DAVI:
... posso dire che la mia sensazione è che Piero Fassino ha una missione, un senso di responsabilità e un progetto di alternativa chiara e moderata al centrodestra. La coalizione dà invece messaggi contradditori e conflittuali.

GIORNALISTA;
La televisione, anche dopo le dimissioni di Lucia Annunziata, sembra l’ago della bilancia di una disputa infinita. È destinata a durare questa situazione?

KLAUS DAVI:
«La centralità televisiva verrà progressivamente meno in Italia anche perché l’abbassamento di qualità dei programmi ha squalificato i mezzi. Mediaset non sta facendo una buona campagna elettorale, perché a forza di tette, sederi e reality show il mezzo è diventato poco autorevole. Seguirà un abbandono dei mezzi tradizionali molto lento a favore della riscoperta dei mezzi sul territorio, quindi radio, giornali locali e un ritorno alla politica come territorialità».


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(*)
LA STAMPA
8 gennaio 2006
Troppo poveri per indignarsi
Klaus Davi

UN recente sondaggio realizzato dall'Ispo di Renato Mannheimer e pubblicato dal Corriere della Sera dimostra grosso modo che l'80 per cento degli italiani non sta avendo particolari reazioni di fronte al caso della scalata Unipol a Bnl. Più o meno «solo» un 20 per cento, dunque, segue la vicenda di Consorte e compagni con maggiore interesse. Sul Messaggero, poi, il patron dell'Ispo si spinge oltre suggerendo addirittura al premier di parlare in tv di temi reali. «Reali?».

Il caso Unipol è forse irreale? Detto dal sondaggista ufficiale di via Solferino, non è cosa da poco. E infatti proprio qui sta il punto: la saga intrecciata di Unipol e Antonveneta, e la sorte dei vari Ricucci, Fiorani, Gnutti, Fazio e Consorte che appassiona da questa estate soprattutto quotidiani e settimanali di opinione, fatica a penetrare nel target popolare: esattamente tra quell'80 per cento di italiani che pur orecchiando la vicenda, non se ne sente particolarmente toccato.

Non ne capisce il senso, ne segue a fatica i passaggi. E pensare che da luglio in poi quintali di carta sono stati spesi per raccontare una storia di corruzione, comunque grave, e indicativa della degenerazione etica in cui versa una parte della nostra classe dirigente. E non sono mancati nemmeno momenti di ottimo giornalismo di costume, culminato nella descrizione dei personaggi della storia sulla falsariga dei racconti alla Gustave Flaubert (la mantide ciociara, Fiorani il banchiere seduttore, il finanziere d'assalto e senza scrupoli, la show girl con lo sguardo di ghiaccio) eccetera eccetera. Insomma, si è tentato di collocare tutto nell'immaginario popolare, in modo che attecchisse, e che gli italiani indignati e influenzabili diventassero molti di più. Ma niente. Per ora il meccanismo non ha funzionato.

D'altronde chi per mestiere si occupa di media non aveva certo bisogno del conforto dei sondaggi. Bastava gettare uno sguardo al day by day dei telegiornali: che si parli di Consorte, di Fazio, di Ricucci o di D'Alema non fa differenza, appena si tocca la vicenda «scalate», la curva dell'audience scende a picco, anche di due punti percentuali in un colpo. E questo non da ora. Chi scrive, ad esempio, aveva notato che nella Puntata di Porta a Porta con ospite Berlusconi, le vette d'ascolto non erano certo state toccate con gli argomenti sopra indicati, Bankitalia et similia. Morale: la storia dei «furbetti» non è ancora popolare.

E, a mio avviso, sostanzialmente per 4 motivi:

a) Sul piano giudiziario eventuali responsabilità politiche sono ancora tutte da accertare. Bisogna capire se qualcuno abbia intascato tangenti. Con le indiscrezioni non si scava nell'immaginario. E se illazioni bastano per compilare articolasse di 120 righe, risulta difficile un retroscena nell'economia di un telegiornale. La comunicazione ha bisogno di uno o più accusati con reati possibilmente ben comunicabili. L'imputato Consorte da solo non fa audience. Per questo ora la drammaturgia collettiva per accendersi avrebbe bisogno assoluto di un politico (possibilmente non un peones) da mettere nel mirino.

b) Una volta individuato l'obiettivo, è necessario che il reato commesso susciti ed ecciti gli animi popolari. Per questo non basta certo una intercettazione. Per attivare l'audience pubblica e consentire che prenda vita un processo di indignazione collettiva, è irrinunciabile un meccanismo in cui anche il cosiddetto uomo della strada si ri-conosca. Tangentopoli ha dato corpo a questi meccanismi anche perché la gente si sentiva derubata dei «suoi» soldi dai politici. Cosa per altro acclarata dai giudici in seguito. Ma non si crea tutto ciò a tavolino. Ci vogliono prove e su questo punto spetta ai magistrati indagare e fare chiarezza, non c'è suggestione giornalistica che tenga.

c) Lo scenario in cui viviamo non aiuta: la crisi che attanaglia l'Italia è fra le più pesanti del dopoguerra. Il caro prezzi, il peggioramento della qualità della vita, il degrado della scuola pubblica, l'abbandono delle periferie, l'inefficienza dei trasporti, la crisi della natalità sono tutti temi che appassionano forse meno l'élite, ma interessano molto più di Consorte alla gente. Nella priorità della classe dirigente capire cosa ha fatto Consorte dei 50 milioni di euro finiti in misteriose consulenze è legittimamente prioritario. Al «popolo» però interessa di più se politici (e classe dirigente, leggasi quindi anche i giornalisti) offrano suggerimenti e prospettive per migliorare la qualità della loro vita.

d) Infine, quanto all'élite che stabilisce le priorità dell'agenda politica del Paese, essa ha subito - ricordiamolo - la prima pesante sconfitta con l'ascesa al potere del signor Silvio Berlusconi. Un uomo che degli attacchi da parte dell'establishment ha fatto la sua fortuna. Ora quello stesso salotto buono svolge una sacrosanta battaglia per la trasparenza degli affari e nei rapporti tra affari e finanziamenti ai partiti. Ma al momento non ha ancora trovato gli ingredienti per tradurla in linguaggio pop. Diversamente, l'indifferenza di quell'80 per cento degli italiani potrebbe tradursi in disinteresse. E di conseguenza il solco fra (autoproclamate) Élite e «non élite» potrebbe diventare ancora più profondo. Ma a quel punto, potrebbe ancora definirsi classe dirigente del Paese?


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